mercoledì 7 giugno 2023

Verso il domani che arriverà...

 7 Giugno 2023,

la Papera si diploma in 5^ elementare, come per tutti i palmipedi è cominciata la sua mutazione da pulcino ad anatroccolo. Gambe lunghe e secche secche, capoccetta tonda e allampanata, braccia dinoccolate pronte per gli esercizi di volo.


Guardandola non si può fare a meno di pensare a come passi il tempo.

Tempo remoto o meglio re-bici quando scampanellavamo su e giù osPEDALANDO sul Monte Cachero.

Dieci anni fa, dieci anni esatti fa, non avremmo mai avuto il coraggio neanche solo di immaginarlo questo giorno.

Dieci anni fa, dici anni esatti fa, il pavimento dell’ambulatorio si sbriciolava sotto di noi precipitandoci nel nostro personale sottosopra.


7 Giugno 2013

Il pavimento dell’ambulatorio si sbriciolava sotto di noi precipitandoci nel nostro personale sottosopra.


Relazione clinica di Arleoni Isotta, nata il 02/09/2012

Arleoni Isotta ci è stata trasferita dalla chirurgia pediatrica in data 07/06/2013, per il riscontro di massa presacrale negli accertamenti eseguiti per presenza di stipsi ostinata da circa un mese.

RM spinale: presenza di ampia lesione espansiva che occupa prevalentemente la porzione dello scavo pelvico in sede presacrale…

Il quadro istologico orienta per un tumore maligno a cellule germinali.”

Tutto intorno gira vorticosamente, le gambe cedono, il cuore perde un colpo….

Dopo dieci anni, il pavimento ha ripreso solidità e i nostri cuori frammentati si sono aggiustati come un Kintsugi o un Kinsukuroi, le cui crepe si sono saldate con l’oro del tempo passato assieme. È strano, di quel 7 giugno 2013 rimangono singoli fotogrammi, quasi irrilevanti eppure incisi come cicatrici, sparpagliati come pezzi scompagnati di un puzzle.

Il dottor Fozzy Muppet appoggiato alla finestra della stanza con il camice aperto. La telefonata ad un’amica sulla diagnosi. La sedia blu dell’ambulatorio. La notizia della nascita della figlia di un’amica. Il perverso conforto di una stanza singola in cui nascondersi.

7 Giugno 2023, giornata frenetica! Ci sono pergamene da stampare, sedie e tavoli da sistemare, giri in macchina da fare,corse matte per arrivare in tempo all’ultima uscita da scuola e una festa durante la quale commuoversi un po’. Il tempo da dedicare a questo anniversario è poco e rosicchiato tra un impegno e l’altro, non più apnee di inquietudine ma fiatone per corse e per staffette, e questo è bellissimo! Significa che la vita ha preso il sopravvento sulla malattia, che anche se quella cosa è sempre lì, e ci sarà sempre, in un angolo del cuore della Paperfamily, non è più al centro. Abbiamo avuto l’immensa fortuna di poter andare avanti, una pedalata alla volta, allontanandoci dal precipizio.

Non abbiamo alcun merito per questo, nessuno. Non abbiamo combattuto né più né meglio di altri per i quali il destino non è stato altrettanto favorevole. Siamo pienamente consapevoli di dovere tutto all’ Oncostaff, alla medicina, alla ricerca, e alla fortuna! Questa entità così astratta ma così determinante nella vita di ciascuno. Così crudelmente libera da qualsiasi nostra volontà da schiantaci a terra quando ci rendiamo conto della sua forza.

Noi siamo qui a festeggiare a modo nostro questo anniversario ma non possiamo fare a meno di pensare ai nostri compagni di viaggio che hanno avuto una sorte diversa. In questa giornata vorremmo onorare anche loro. Sanya, Alex, Francesco, Federico e tutti gli altri.

L’unico modo in cui sappiamo e possiamo farlo è come sempre affrontando le sfide della vita con ironia, cercando di dare il giusto peso e la giusta priorità alle cose. Senza fare drammi per problemi di poco conto e mantenendo sempre una prospettiva sbilenca sull’orizzonte, che non si sa mai…

Forse siamo matti a voler festeggiare una ricorrenza come questa, ma siamo fatti così, ci viene proprio naturale.

Di cose matte, del resto, ne abbiamo fatte parecchie.

L’ inizio del diario di Ospedalando su un quaderno stropicciato per scambiare due parole tra Lady Nutria e Ser Fagiano che dopo una settimana è diventato un blog per gli amici e dopo qualche mese per oncogenitori sparsi in tutta Italia.

Nel 2015 tutto questo si è trasformato in un monologo teatrale con una canzone originale.

E ora? Cos’altro potremmo fare? Anzi, cosa abbiamo già fatto?

Volete provare a indovinare?

Nooooo, nessun film. Colin Firth non ha accettato il ruolo di Papàpapero, non si sentiva all’altezza.

Un aiutino: si legge anche se non sei un avvocato, lo tieni sul comodino quando dormi ma se è brutto lo usi per sorreggere la gamba del tavolo.

Che cos’è?

Un libro!!!

Oddio, oggi scrivono tutti e questo non ci rende assolutamente onore, ma ci siamo impegnati tantissimo ( e forse, visti i risultati, questo ci rende ancora meno meno onore).

Il libro di Ospedalando? Eh no, sarebbe stato... come dire, un po’ banale.

È stato un processo lungo ed elaborato, partito sempre dai frammenti del nostro Kintsugi, che ci ha portati e creare un mondo un po’ fantastico un po’ no, al centro del quale ci sono l’amore fraterno, la diversità, il dolore, i cambiamenti, la crescita e la rinascita.

Leoniar, l’intreccio del tempo non è un’autobiografia, né il racconto fedele della nostra storia a oncologia pediatrica. È l’avventura di una famiglia coinvolta, suo malgrado, nella lotta contro un cattivo supercattivo a cavallo tra realtà e dimensione magica.

(raccontata così ci rende ancora meno meno meno onore)

Insomma, se vi va trovate il libro su Amazon Kindle.

Digitate Antonio Arleoni, Leoniar, l’intreccio del tempo e vi salta fuori il risultato.

Tra qualche giorno sarà pronta anche la versione cartacea (per i boomer come noi)

https://www.amazon.it/dp/B0C78KZSS8/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&crid=W18V76ITFHND&keywords=leoniar+l%27intreccio+del+tempo&qid=1686125647&sprefix=leoniar+l%27intreccio+del+tempo%2Caps%2C256&sr=8-1






Che altro dire?

Ripartiamo da qui.

Dal 7 Giugno 2023, dall’ultimo giorno di scuola primaria lanciati a fionda verso l’incognita della prima media “ma cosa vuoi che sia, la Papera ha già fatto il P Greco*” (cit.)


* lo so che non si scrive così, ma con il computer non lo so fare!


Tutto questo ottimismo però non mi pare scaramanticamente corretto, perciò chiuderemo con una citazione che ci rivela una profonda verità:


Amore e paura crescono insieme con una precisione quasi matematica:

più grande è l’amore,

più grande la paura.

Josephine Johnson


Perchè non c’è niente da fare, un oncogenitore è per sempre!






lunedì 26 agosto 2019

Ci vuole molto allenamento...(per stare dritti controvento)


Correva l'anno 1993 e al Palazzetto dello sport una ragazzina assisteva al suo primo concerto: Carboni/Jovanotti, Soleluna tour.
A quell'età si cambia in fretta, e l'anno dopo, la stessa ragazzetta, piangeva la morte di Curt Kobain.
Poi sono passati altri anni, altre canzoni, altre passioni. Pare che la vita funzioni così.
Capita poi, nel corso della vita, che ci siano partenze e ritorni, e allora anche quel giovane cantautore bolognese, che sembrava ormai aver fatto il suo tempo ricompaia, qualche anno fa, con una canzone identica a quelle di allora. Stesso sound, stessa voce roca, stesso inconfondibile accento e stessi testi un po' leggeri e un po' filosofici. Capita che, se Bologna è una regola, tu, che eri una ragazzina negli anni '90, riascolti quei vecchi successi e scopri qualcosa di nuovo. Non ti parlano più solo di amori infelici, farfalline troppo precoci o adolescenti un po' sbandati (o forse solo troppo sbadati), ed ecco che a colpirti oggi,passati i 40, in quella leggerezza sia la filosofia di quei testi. Quella verità distrattamente accennata ma messa lì, quasi per caso. Quasi per caso?
Fatto stà che è una frase, una sola, breve frase in un'intera canzone che ti si rivela all'improvviso:

Ci vuole molto allenamento per stare dritti controvento

E' proprio una delle immagini di Ospedalando, lo spettacolo. Un mare devastato dalla tempesta, pieno di relitti, zattere, vele a brandelli. Su ciascun relitto le sagome degli oncogenitori sopravvissuti alla burrasca. Bianchi, invecchiati, devastati da quella durissima prova ma dritti contro il vento. Dritti. Lo sguardo fiero verso un orizzonte che ancora non si vede. Dritti, perché non si può fare altro. Non ci sono alternative. Non si può, lì, in mezzo all'uragano che infuria e che vuole prendersi tuo figlio, non si può cedere, distrarsi, mollare, prendersi un attimo di pausa. Non si può cedere allo sconforto, alla debolezza, non ci si può mostrare frangibili davanti a quel piccolo guerriero. Devi difenderlo con tutte le tue forze.
Non si può far pensare al mostro che può vincere.
Dritti. Contro vento.
E non ti viene bene subito, ha proprio ragione Luca. Ci vuole davvero molto allenamento.


Correva l'anno 1993 e al Palazzetto dello sport una ragazzina assisteva al suo primo concerto: Carboni/Jovanotti, Soleluna tour.
Trent'anni dopo quella ragazzina si trasforma, suo malgrado, in Mammapapera. È giugno. La diagnosi per il male di sua figlia è Tumore: teratoma scacrococcigeo.
Fuori c'è il sole, l'estate è appena cominciata. Tutti parlano di vacanze.
La bambina ha nove mesi, ciuccia un papero di pezza.
Tu devi dare spiegazioni, consolare i nonni, rinsavire amici sgomenti... ma non sei allenato. Non abbastanza. Come farai?
Ci vuole molto allenamento. Molto, molto allenamento.
Prima di tutto il cuore. Quel pugno che batte in petto e rischia di fermarsi, di andare in pezzi, di esplodere. All'inizio perde qualche colpo, ma poi... respiri, respiri (in ogni allenamento il respiro è fondamentale), respiri... sistole, diastole, sistole, distole, pum pum, pum pum, pum pum. Ben stretto in una corazza nuova fatta della volontà di non mollare ecco che ricomincia il suo consueto galoppare, appena appena sottotono, controllato a vista, per non correre il rischio di rompere quella corazza, che in fin dei conti è fragile come un guscio d'uovo.
Dicevamo del respiro, anche quello va rafforzato, soprattutto in vista delle apnee. Quelle lunghe, interminabili apnee sulla panchina dell'attesa, nel comparto operatorio. Quelle apnee da risonansia. Quelle apnee che ti svegliano nel cuore della notte togliendoti il sonno.
Poi il sorriso. Anche quello bisogna tenere in allenamento. Le difficoltà potrebbero indebolirlo e questo non possiamo permettercelo. Attenzione, non deve essere un sorriso di circostanza, ma un sorriso vero, che parta dal cuore (ancora lui) e si irradi dagli occhi fino alla curva della bocca. Allenarsi a ridere e sorridere di tutto è forse l'esercizio più difficile di tutti. Bisogna esercitarsi di continuo, ogni giorno, qualsiasi momento è buono per una serie di sorrisi.
E così, giorno dopo giorno, anno dopo anno, diventi un atleta nell'affrontare la scalata sul Monte Canchero.
Purtroppo talvolta capita che la montagna crolli e la slavina ci travolga. E non c'è allenamento che tenga. Solo silenzio, sgomento, rabbia. Perché questa gara non è una competizione, gli atleti gareggiano tutti insieme, uniti verso il traguardo, e quando qualcuno non riesce a raggiungere il podio perché inghiottito da un'onda anomala o sepolto da una valanga, tutti si fermano a rendere omaggio. Poi bisogna ripartire, respira... respira... sistole, diastole, sistole, diastole... apnea, sorriso... e via, di nuovo.

Così per 6 anni. Sei lunghi anni. Densi, intensi. Montagne russe, ponti sospesi, funi aggrappate nel vuoto. Sei anni.
Giugno 2013 Luglio 2019

"Essendo passati 5 anni dalla fine della terapia, non si ritengono necessari ulteriori controlli programmati presso il nostro ambulatorio. Rimaniamo a disposizione per rivedere Isotta qualora ce ne fosse necessità"

Il riso nel pianto.
Incredulità e gioia.
Avrai capito bene? Rileggi.
Rileggi, rileggi, rileggi rileggi... Essendo passati 5 anni dalla fine della terapia, non si ritengono necessari ulteriori controlli programmati presso il nostro ambulatorio. Rimaniamo a disposizione per rivedere Isotta qualora ce ne fosse necessità Essendo passati 5 anni dalla fine della terapia, non si ritengono necessari ulteriori controlli programmati presso il nostro ambulatorio. Rimaniamo a disposizione per rivedere Isotta qualora ce ne fosse necessità Essendo passati 5 anni dalla fine della terapia, non si ritengono necessari ulteriori controlli programmati presso il nostro ambulatorio. Rimaniamo a disposizione per rivedere Isotta qualora ce ne fosse necessità...

Il traguardo.
Allora esiste!?
Esiste!!!
continui a non crederci, ma non puoi fare a meno di constatare che è vero. Hai tagliato il nastro.
Ti lasci timidamente andare alla gioa, alla felicità. Salti, balli, ridi e piangi tutto insieme.

Sulla carta è finita. Sulla carta la Papera è guarita.
Ma nel cuore? Nell'anima? Dentro quel complesso groviglio di nervi, emozioni, buchi neri, crepacci che siamo noi, esseri umani?
Com'è difficile pronunciare quella parola.
È inutile, noi opn ci riusciamo, non ancora perlomeno.
Probabilmente non è facile da capire. Lo so, dovremmo lasciare andare il passato, goderci questo momento, stare sereni e andare avanti.
Ma c'è qualcosa che sta sempre lì, acquattata e scura, piccola piccola forse, ma dura come un diamante. È la paura. La malattia dell' oncogenitore.
Da qusta non si guarisce.
Temo non si guarisca mai.
E non mi importa se da fuori è qualcosa che non si riesce a capire. Fa lo stesso.
La gente dica pure "Ma dai, su, è finita!" "Adesso la bimba sta bene!" "E' guarita!" e bla bla bla... si, va bene. Sulla carta è così, è vero.
Ma noi, purtroppo o per fortuna, non siamo fatti di carta.
E serve molto (molto) allenamento per stare dritti contro vento!







martedì 11 dicembre 2018

One Little Owl


Un oncogenitore lo sa , la frase "e vissero felici contenti" non esiste, perchè la vita è più complessa di una favola e la felicità è sorella del dolore.
Frasi e aforismi sul tema si sprecano, da "la felicità è fatta di attimi di dimenticanza", all'inflazionatissimo "danzare in mezzo alla tempesta".
Nel libro dell' Ecclesiaste (non che qui si abbia questa gran conoscenza delle sacre scritture, cito a memoria un pezzo del mio film cult da ragazzina, Footloose!), si dice che c'è un tempo per ogni cosa sotto il cielo.
Il tempo della felicità.
Il tempo della lotta. In cui il Guerriero non smette di combattere. Non si arrende nemmeno di fronte al nemico più feroce, quello che non ha regole, che non guarda in chi sei, i tuoi pochi anni. Quello che ritorna quando vuole, senza preavviso, e devasta, rade al suolo. Ma il Guerriero combatte.
Il tempo della disperazione. In cui il nemico si è preso tutto, e tu ti senti svuotato. Sventrato. Lo scheletro di un palazzo in fiamme. L'involucro ambulante di te stesso.
Il tempo della rabbia. In cui cerchi un senso, una riposta, una logica. E invece tutto è una merda!
Il tempo del dolore. In cui lasci andare, scorrono le lacrime, capisci che senso non ce n'è... che non c'è niente. Sembra che non ci sia più niente. Ti lasci annegare, com'è giusto che sia.
...Il tempo della trasformazione. In cui dal dolore, a volte, nasce qualcosa di nuovo, grande e bello.
So che succederà, perchè stiamo parlando di qualcuno  di veramente strabiliante e meraviglioso.
Nel bestiario degli animali fantastici non viene menzionato, ed è curioso, forse perchè non si può classificare solo come animale.
Anima Le. 
Saggezza, sventura, protezione, magia...
Non è chiaro, si tratta comunque comunque di un esemplare unico, forse troppo giovane per essere descritto in un bestiario, d'altro canto ha innegabili connotati fantastici. Non è nato dalla penna di uno scrittore, eppure di penne ne ha tante. Penne e piume di luce. Ali luminose che hanno volato tra tempeste di sofferenza e dolore e, con il loro battere, hanno saputo trasformare feroci uragani in ventate di coraggio, e altri, grazie a lui, hanno deciso di spiccare il volo e lottare contro il destino. Ha permesso a mondi diversi di incontrarsi intrecciando legami, vite, speranze, sogni.
Non si sta parlando di un grifone, di un unicorno alato, di un ippogrifo. Sarebbe un fantasy banale e già visto, siamo pur sempre sul blog di una papera no? E quindi... stiamo parlando di un Gufo!
Un gufetto sorridente, dagli occhi profondi, visto così può sembrare fragile, indifeso, ma l'involucro esteriore della realtà è solo apparenza. In questo piccolo Gufo battono all'unisono quattro grandi cuori, battono una melodia di energia e forza che li moltiplica, diventano cento, mille cuori vicini, distanti, luminosi (insomma... una roba che cardiologia, levate!), troppo grandi per essere contenuti in un solo uomo, in un bambino. Ma non in un Gufo.
Un Gufo plurimaterico, perchè lì dentro c'è tanta roba, c'è tutto l'amore moltiplicato per quattro all'ennesima. C'è il Gufo fotografo di esileranti curvy model, il Gufo motociclista con gli amici pinguini, il Gufo borlengaio, e il grigliatore seriale. C'è il gufo fumettista e delicato fumetto, gli abbracci gratis illimitati e abbondanti, il Gufo Babbo Natale in corsia e il Gufo altalena che fa volare le sedie a rotelle. C'è il Gufo in uno spettacolo teatrale e in un murder party. Un Gufo svizzero e saggio, un Guvaffanbroviacday...
Il Gufo è molto più di questo. È oltre tutto questo.
Capite che bisogna assolutamente rivoluzionare il devoto Oli, contattare L'Accademia della Crusca (sempre che non sia stata pappata da qualche vegano e, in tal caso, rinnovarla come Università della Costina), è necessario e doveroso stravolgere un termine che viene usato erroneamente. 
Dal sito della treccani, che evidentemente non vede di buon occhio i pennuti:
v intr e tr 1. intr (de. Di gufo)1. Fare il verso del gufo, riferito al gufo stesso o persoan che lo imita....
b estensione , raro. Sbuffare
c gerg. Portare sfortuna
2 tr., ant. Beffare soffiando nel pugno della mano per rifare il verso del gufo ; e più genericamente beffeggiare
Questi erronei significati hanno permesso, negli anni '90, il crearsi di un neologismo piuttosto antipatico usato per indicare un pronostico nefasto: non mi gufare!
Tutto sbagliato!
Io ti Gufo deve significare Celebro il tuo coraggio, la tua forza, l'amore che va oltre i limiti della vita.

Il Gufo e i suoi quattro cuori hanno vinto perchè conoscono il segreto. 
Il segreto del ridere nel pianto, che permette di trasformare il dolore in altro, qualcosa di bello, di grande.
Lo hanno già fatto, diamo il tempo a questi quattro cuori stanchi e ferirti di ritrovare il filo della loro melodia, di crearne una nuova, e lo faranno ancora.
Trasformeranno il dolore in amore.

Ti gufo vuol dire io ti benedico, che la vita possa essere sempre piena e avere il sapore fantastico ed eterno di FedeAnnalisaLucaElena.





mercoledì 4 aprile 2018

Nessun posto sicuro

Padron 'Ntoni diceva sempre che i membri di una  famiglia sono come le dita di una stessa mano.
E' così anche per gli oncogenitori. tutti parti di uno stesso corpo martoriato, rinato dalle  ceneri del proprio inferno.
E se succede qualcosa a uno, il dolore riverbera in tutti.
Questo non è un post carino, leggero, divertente. E' un post ruvido, aspro come certi picchi montuosi dove la promessa della vetta alla fine non viene mantenuta. Dove all'improvviso una slavina ti travolge con rocce e detriti, lasciandoti a terra immobile, con tutte le ossa rotte.
Forse è un post senza illusioni, come dovrebbe essere la vita.
Ma cosa te ne fai di una vita senza illusioni, non sarebbe forse già una morte?
Il fatto è che non ci sono probabilità, non ci sono statistiche che ti riparino da nuove sventure.
Non c'è niente.
Anche dopo aver attraversato il fuoco dell'inferno non c'è nessuna garanzia di paradiso.
Non c'è nessun posto sicuro. Nessun rifugio. Nessuna tranquilla veranda dalla quale osservare la vita che scorre.
Finita la tempesta chi ha detto che arriverà l'arcobaleno? Finita la tempesta potrebbe benissimo cominciarne un'altra, prima ancora di poter anche solo pensare "Sono salvo".
Magari questa volta la nave colpita dal fulmine non è la tua, ma la tempesta ti travolge lo stesso, e ti senti in balia dell'uragano. Perchè sei una nave della stessa flotta. Un arto dello stesso corpo. Un dito della stessa mano!
Il mondo intorno a te comincia a sgretolarsi come un castello di sabbia.
Capita così, all'improvviso. Come il nulla de La storia infinita: "Prima c'era un lago, poi all'improvviso... più niente"
"Il lago si era prosciugato?"
"No, altrimenti avrei detto che c'era un lago prosciugato. Intendo proprio dire nulla. Niente di niente!"
Lo sai, lo sai bene, mai abbassare la guardia! Eppure... sei lì, nel bel mezzo della tua illusione quando l'ordigno colpisce. Lì, proprio lì. Così vicino!
E torna tutto. L'insicurezza, la rabbia, l'impotenza, lo sgomento.
La Paura!
La paura cazzo!
Quella paura che cerchi continuamente di ricacciare indietro. Contro la quale lotti ogni giorno. ad ogni febbre, ad ogni mal di testa, ad ogni qualsiasi  dolore, neo, probabile sintomo di qualsiasi cosa che guardi con sospetto.
La paura di ogni controllo.
Quella paura che cerchi ad ogni costo di mettere a tacere aggrappandoti alla logica, al ragionamento, alla statistica e alle probabilità. Metti in fila tutto quello che è successo. Tiri le somme della sfiga  e il tuo bilancio è già abbastanza in positivo. Se la vita seguisse un percorso coerente saresti a posto per le prossime sette, almeno.
Elenchi tutto quello che è andato bene, conti il tempo passato in salute...
Poi... BOOOOM!!!...e BOOOOOOOM!!!!! BOOOOOOOOOM!!!!!!!!! ti ritrovi all'improvviso  in un campo minato, vedi saltare in aria amici, compagni di viaggio. e ad ogni granata cede anche un pezzo di te. il tuo corpo è il loro. Ad ogni colpo inferto intorno a te ecco che zoppichi, il respiro si fa affannoso, la vista si annebbia. Cadi a pezzi anche tu.
 Insieme.
Dita di una stessa mano.
BOOOOOOOM!!!!!
Non c'è nessun posto sicuro.
Nessuno di noi sarà ami al sicuro.
Da nessuna parte.
Continueremo ad andare a scuola, al lavoro, a fare vacanze, ad organizzare feste di compleanno... ma non riusciremo mai più a smettere di scrutare il cielo, di nascosto, in attesa della caduta del satellite orbitante, del meteorite, della bomba.
Che tanto, se deve colpir,e colpirà comunque. Ci troverà dappertutto. Anche dove ci sentiamo più al sicuro.
... ammesso che esista davvero un posto così.

domenica 10 dicembre 2017

nine lives

Nel 1961 esce Colazione da Tiffany, il film. Qui un giovane e fascinoso George Peppard veste i panni dello squattrinato scrittore Paul Varjak (Fredbello!), il titolo del suo primo ed unico romanzo è : Nine Lives, nove racconti in cui narra le storie di nove contorti, urbani, newyorkesissimi personaggi dell'america fine anni '50.
Così, stavolta mi è venuto in mente questo titolo pensando a quante vite si possono vivere in una sola. E all'interno di una famiglia' quante vite, quanti inizi ci possono essere, a guardare bene? Molte persone definiscono la propria vita noiosa, piatta, monotona, forse non si sono mai fermate a guardare bene indietro. Qualcuno dice che non si dovrebbe fare, che bisogna vivere proiettati nel presente, vivendo ogni giorno come fosse l'ultimo. Sì, va bene, è molto bello, molto intenso come stile di vita, ma credo che a volte accadano cose, anche piccole, insignificanti microeventi di nessunissima importanza che però inceppano la corsa, si  cristallizzano in un'istantanea in bianco e nero e ci sciorinano sotto il naso l' ineluttabile scorrere del tempo.In senso buono, intendo.
Oggi, per esempio.
Stamattina Bellacana ha deciso di fare spazio. Di sua spontanea (più meno) volontà ha preso un grosso scatolone e ha deciso di liberarsi di cose, giocattoli, giabanini, zavorra, per permettere a ciò che verrà di trovare un posto (che come disse il già citato bagnino Diego del Bagno Galattico di Lido delle Nazioni "Bisogna che le cose finiscano per permettere ad altre di cominciare"), e così, frugando dentro questo entropico contenitore Mammapapera e Papapaero hanno ripercorso i 7 anni del pargolone primogenito.




 7 anni, quante vite in questi sette anni? La prima, da neonato, coccolato, figlio unico e unico nipote di ben quattro nonni adoranti, poi l'inizio della sua vita sociale al nido, i primi amichetti, le regole della convivenza... poi lo tzunami dell'arrivo di una sorellina, la sua seconda nascita a fratello maggiore, nuovi obblighi, nuove responsabilità, nuove regole. La scoperta di un amore nuovo, difficile, complesso e tortuoso per questo nuovo esserino così dolce ma così caparbio, che chiede, anzi, esige di dividere per due l'amore di mamma e papà (strana equazione quella del'amore famigliare, per moltiplicarsi si divide... e viceversa) e tutti i cataclismi che questa sorellina tanto amata si è portata dietro. E intanto continuare a crescere, cominciare la scuola elementare, affrontare nuove sfide e ostacoli più difficili da superare. Sentirsi ancora bambino,con tutta la voglia di giocare e saltare sul letto, ma avvertire già dentro l'esigenza di coltivare un mondo proprio, un universo parallelo, una no man's land segreta in cui rifugiarsi quando tutto questo crescere si fa assordante e frenetico.
Certo che anche i Papergenitori, ravanando tra una Barbie Cenerentola e uno stegosauro, di vite e di rinascite, ne hanno avute un bel po'.
La prima vita di mammapapera è stata quella da solitaria adolescente alternativa, esistenzialista per di più! Eccola tutta vestita di nero con la sua sciarpetta rossa e il naso infilato in qualche libro di eco sartriana che attraversa a larghe falcate  Piazza Roma per portare un po' del suo snobismo provincialfilosofico tra le mura scrostate dell'Istituto d'Arte.
Poi la prima rinascita, quella del teatro. Una nuova sicurezza data dal calcare le scene e dalla consapevolezza di riuscire piuttosto bene a raccontare, col proprio corpo e la propria voce le storie di altri. Eccola tutta vestita di nero con la sua sciarpetta rossa e il naso infilato in qualche libro di eco grotovsckijana che attraversa a larghe falcate  Piazza Duomo per portare un po' del suo snobismo teatralfilosofico tra le mura scrostate della Civca scuola d'Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano.
E la delusione che porta a nuove consapevolezze, un'altra vita ancora. Cambiare strada per perseguire ancora lo stesso obiettivo, si chiama crescere no? provare, fallire, riprovare e fallire meglio, ed eccola tutta vestita di nero con la sua sciarpetta rossa e il naso infilato in qualche libro di eco artaudiana che attraversa a larghe pedalate  il ponte della Bolognina per portare un po' del suo snobismo teatralalternativo tra le mura affrescate del DAMS.
Poi l'incontro fatale con Papapapero, la loro nuova vita insieme felice e spensierata... fino alla malsanissima idea di metter su famiglia, ed eccoli nascere a nuova vita come genitori, impacciati, maldestri, innamorati di quel frugolone affamato e panzerotto che oggi li guarda dietro un paio di buffi occhialietti da Clark Kant chiedendosi "Avrò fatto abbastanza spazio per i nuovi doni di Babbo Natale?". E quando ormai pensavano di essere pronti e "imparati" all'arrivo della secondogenita... ecco una nuova fine e un nuovo inizio. La fine della vita tranquilla per come la conoscevano loro e l'inizio  di una nuova, terribilmente complicata avventura.
Persino Papapapero non è sempre stato lui, macchè! La sua prima vita è quella di estroso secondogenito di una solida famiglia borghese, poco incline a seguire le regole dei figli della solida borghesia modenese si butta a capofitto nello scoutismo e nell' attività di animatore parrocchiale.
Ma non gli basta, la voglia di esprimere il suo estro, che ben poco si confà al mood delle solide famiglie della borghesia modenese, lo porta ad imbarcarsi sulla sua seconda vita: eccolo che naviga nel mare mosso dell'Università del Progetto cercando di dare voce a quella sconfinata fantasia virante all' assurdo che scorre nelle sue vene (e qui sarebbe lecito pensare ad uno scambio in culla, vista la totale estraneità di tutto ciò alle ben delineate regole della solida famiglia borghese).
Ma ancora non basta, altre aspirazioni muovono il suo giovane spirito tumultuoso, ed eccolo abbandonare lo sfavillante mondo del design  per intraprendere la carriera di studente di psicologia. Introspettivo e creativo come sempre cerca poi di coniugare tutte le sue passioni convogliando verso un fine più alto e meritorio: l'aiuto del prossimo, fino a scegliere un lavoro nel sociale... che più sociale non si può!!!
Poi l'incontro fatale con Mammapapera, la loro nuova vita insieme felice e spensierata... fino alla malsanissima idea di metter su famiglia, ed eccoli nascere a nuova vita come genitori, impacciati, maldestri, innamorati di quel frugolone affamato e panzerotto che oggi li guarda dietro un paio di buffi occhialietti da Clark Kant chiedendosi "Avrò fatto abbastanza spazio per i nuovi doni di Babbo natale?". E quando ormai pensavano di essere pronti e "imparati" all'arrivo della secondogenita... ecco una nuova fine e un nuovo inizio. La fine della vita tranquilla per come la conoscevano loro e l'inizio  di una nuova, terribilmente complicata avventura.

Ovviamente in questo scatolone delle meraviglie c'è anche lei. La bambina che visse due volte...anzi, tre.
No, speta... quattro, perlomeno.
E poi e poi... qui ogni giorno si cresce a vista d'occhio, in altezza e in competenze. Sembra quasi che si rinasca un po' ogni giorno.
Altrochè Nine lives!

Non so, mi sa che ho toppato il post. In partenza voleva essere una roba introspettiva e citazionistica.... forse un po' snobisticamente filosofichesistenzialista. Ma di tutto questo finora c'è pochino.
E insomma, basta stare un po' attenti, non fossilizzarsi a tutti i costi, lasciare che a volte accada, scegliere che succeda.
Cambiare strada, provare a perdersi, andare a capo prima che la frase finisca...
Allora mi piace metter una colonna sonora a questo post strampalato. Una musichetta scanzonata che accompagna parole... così, che sembrano leggere ma poi a ben ascoltare sono tutto quello che c'è:

"Perchè si può nascere un'altra volta, e poi ancora un'altra volta se ti va"




lunedì 4 settembre 2017

Give me five!!!

 GIVE ME FIVE…...ALL RIGHT!
Dammi un cinque Paperaccia, che l'hai dura la pelliccia!
Hai compiuto una mano!!!
Cinque come le dita di un tuo piedotto, e tu di passi ne hai fatti.
Cinque anche come le linee del pentagramma, su cui scrivere canzoni come quelle alternative che piacciono a te: “ Capelli che… cadonooooooo...”
Cinque come i minuti, quelli che che a volte vengono ai papergenitori quando, ad esempio, cercano per tutta la casa le chiavi della Camiotta (l’auto di Papàpapero) per poi scoprire di averle in tasca, o in mano ...o in frigo!
    Cinque come i cinque elementi di Platone: terra, fuoco, acqua, etere.
    Naturalmente cinque come anche le Winx: Musa, Stella, Bloom, Tecna e Flora (Aisha è arrivata dopo, nella seconda stagione) che accompagnano le tue bevutone di latte freddo sorseggiato come un grappino prima d andare a dormire.
    Insomma cinque come gli esseri viventi che compongono la Paperfamily (cane incluso)... escludendo blatte, formiche e ragni domestici.
    Cinque, cinque come i tuoi anni da Papera Guerriera, che a differenza di quelli dei cani non si moltiplicano per sette (o nel caso specifico del tuo quattrozampe per setter), né per qualsiasi altro numero, ma si moltiplicano semmai per esperienze, vite vissute, capitoli interrotti, chiusi, ricominciati. Ma soprattutto si moltiplicano per nuovi inizi.
    Papàpapero sorride ancora pensando a quando, durante l'ultima risonanza, a fine luglio, ascoltava le preoccupazioni di un vetusto paziente over 85 alla sua prima esperienza nella macchina dai rumori strani, mentre tu ,quattrenne, eri solo alla… alla…? all’ennesima.
Vita, vita… perché sei tu, vita, la rosa, pur con un’altro nome, conserverebbe comunque lo stesso profumo… ops, non shakespeariamo (non troppo almeno), è passato il tempo delle domande esistenziali sul perché e per come, qui ora ci si vuol stupire in pace del tempo che passa, che corre spettinando le rughe agli adulti e spruzza sviluppina sulle piume dei due fratellini.
Cinque anni, cinque anni nel 2017. Che fortuna! Eh sì, perché certe cose mica le decidiamo noi, nella legge selvaggia ed entropica legge della natura avrebbero potuto non esserci, questi cinque anni. Sarebbe bastata un’epoca diversa, neanche tanto eh, forse anche solo due decenni, forse solo uno. Sarebbe bastato nascere in un Nullistan qualsiasi di questa stessa epoca... E la papera avrebbe potuto non guarire. Non sopravvivere. Cosa sarebbe successo al frugolino nato con l’esofago storto e occluso e successivamente pluritumorato nella coda? che prospettive avrebbe avuto? forse qualche femminista sessantottina un po’ alternativa avrebbe usato la tua storia come denuncia contro le radiazioni di Hiroshima, o contro la guerra in Vietnam, avrebbe fatto stampare milioni di T-Shirt con la Papera Guerriera rubando al buon Che Guevara il premio della maglietta più venduta.
E il guaritore del Nullistan? forse invece ti avrebbe fatto sull’esofago un impacco di poltiglia di banane e frullato di l cimici albine, o forse ti avrebbero abbandonato nella rupe dei pennuti maledetti, spaventati da quella protuberanza sul culetto...
O forse semplicemente non sarebbe successo niente, non saresti riuscita a nutrirti e la tua vita sarebbe stata breve come il batter d’ali di una farfalla, come accade sovente nei Nullistan del mondo, e non ci sarebbe stata nessuna Papera Guerriera.
Invece,fortunatamente siamo qui. A contare uno alla volta questi cinque anni, così pieni e intensi, 1826 giorni, ogni giorno un immenso regalo che non appartiene solo a noi, ma anche ai medici e agli infermieri che ti hanno curata, agli amici e ai familiari che ci hanno sostenuto, appartengono alla ricerca, alla scienza, appartengono alle cavie che sono state utilizzate per la sperimentazione e ai ricercatori che hanno speso vite intere con l’occhio appoggiato al microscopio.
In questi giorni si fa un gran parlare di cure mediche necessarie o meno. Si parla molto di vaccini… è difficile non essere toccati da questo tema, ne sproloquiano persino Povia e Barbara d’Urso, vien spontaneo dire due paroline anche anche ai papergenitori.
Diciamo che tutto questo gran can can tra pro-vax e free-vax (che poi dovrebbero essere no-vax) li fa un po’ sorridere. Da un fronte all’altro volano improperi e malauguri, e molto spesso si leggono opinioni basate su di un nulla tale da rasentare l’assurdo, un po’ però li fa anche rabbrividire, questo teatrino, queste voci stereotipate e marionettistiche che acclamano la propria libertà di decidere senza regole, come se si trattasse di scegliere tra due paia di scarpe.   
Credo che questo succeda perché manca la consapevolezza del fatto che scegliere come curarci è un lusso moderno, siamo troppo giovani per ricordarci di qualche epidemia, la nostra generazione è la prima a non avere sul braccio il segno del vaccino contro il vaiolo. Ci ricordiamo i primi discorsi sull’Aids, la peste degli anni ‘90, ma ora non se ne parla più (e non è che sia passata eh, ma se non se parla non esiste), sembra un problema dell’Africa, lontano ( non è e non è mai stato così), comunque pare che non ci riguardi, non abbiamo tempo per queste cose, dobbiamo concentrarci sul nostro ombelico, sul nostro piccolo orticello, sull’infinitamente piccola probabilità che quello 0,00000000000000000000000001% di effetto collaterale tocchi proprio a noi e allora la medicina moderna diventa il male. Perché le medicine fanno male, i vaccini contengono metalli pesanti, la chemioterapia favorisce lo sviluppo di tumori… bè, lasciatevelo vero dire, sì, è vero! Noi oncogenitori abbiamo firmato consensi per terapie i cui effetti collaterali avrebbero potuto, in certi casi, essere paragonabili alla malattia che si cercava di debellare. In certi casi. In CERTI CASI! E l’abbiamo fatto, perché comunque il rapporto rischio/beneficio era ce a vantaggio del secondo. Vorrei che nessuno dovesse mai trovarsi in situazioni come queste, e mi sembra grottesco pensare che altrimenti non si possa capire davvero quanto dobbiamo alla scienza e alla medicina. Ma siamo nati dalla parte giusta del mondo, in un’epoca di benessere, stiamo bene, e allora non ce ne accorgiamo. Perché prendere farmaci? ci avvelenano e basta. Perché vaccinarsi, chi l’ha mai visto un poliomielitico? È tutto un interesse economico…
Mha, non so… e se fosse il contrario? La cura per una malattia grave di solito costa più del vaccino per prevenirla…
C’è molta confusione, e troppa arroganza, pretendiamo dalla scienza risposte esatte al millesimo e garanzie al 100%, perché non pretendere le stesse spiegazioni da tutte le voci del dibattito? Perché ad una parte è chiesto di fugare tutti i dubbi e all’altra solo di sollevarne? Non e presunzione esistenziale questa?
Si sta andando fuori tema, cosa c’entrano tutte queste pippe con il tuo compelanno Paperaccia? C’entrano, forse solo per noi papergenitori, ma guardandoti adesso, a cinque anni suonati, ripensando a tutto quello che abbiamo vissuto… beati quelli che nella vita non avranno mai bisogno di un dottore, ma fortunati noi che ne abbiamo incontrati alcuni tra i migliori, e che oggi siamo qui a progettare la tua festa anche grazie ai vaccini e alle cure per il cancro.
Tu, Paperina bella, dici che da grande farai la dottoressa, bè, cara mia, ne avrai da fare, restano ancora da scoprire, tra le altre cose, le cure per la superficialità e il vaccino contro l’ignoranza.

Buon lavoro!


domenica 19 marzo 2017

Fathers and Sons





Nei vecchi palazzi delle città si trovano ancora sui portoni e nei citofoni delle targhette in cui i cognomi degli inquilini sono preceduti dal titolo professionale: Dott., Ing., Prof., Rag.
Un tempo era un’abitudine consolidata, come se ci fosse la necessità di identificarsi nel proprio lavoro, il bisogno innato di avere una qualifica, appartenere a una classe, dichiarare al mondo la propria identità. Però, onestamente, non ho mai visto una targa con scritto: Op. Spec., Idr., Elettr., Ed., Mur., Oss., Inf., Disoc., Becc.,… strano, perché ogni professione ha il suo ruolo in una società democratica, e richiede dignità e rispetto.
Oggi i campanelli moderni sono più sobri, sarà per il fatto che i “Dott.” Sono esponenzialmente aumentati, o forse perché servirebbero campanelli srotolabili “Arleoni Dott. in scienza dell'Educazione, laurea triennale”,” Dott. Ganz, dottore in medicina e chirurgia specialista in Psico biotica microscrotica con bifidus”, “Dott.sa Manfredi, specialista in drammaturgia applicata e in senso letterale e metaforico”… e così via.
O forse semplicemente i campanelli non si suonano più, sostituti dagli squillini sul cellulare. E poi con i social, si può raccontare tutto di sé, altrochè targhetta!
Sarebbe ancora più incredibile se, come in un tweet, si potesse sintetizzare qualcosa della nostra identità con una semplice targhetta alla porta: “Single Benni Paolo”, “Ceprovocontutte Rossi Gedeone” , “Pastafariano Platano Gennaro”, “Nerd Montorsi Francesca”.
Ecco… cosa potrebbe esserci scritto sul campanello della Papera? Probabilmente Oncofamily.
In realtà sulla targhetta alla porta della Paperfamily ci sono una paperella e una cana stilizzati, ma papà papero vorrebbe un titolo anche per lui: Dott. Papàpero! ... Ma nooo si è laureato a 38 anni suonati con un corso universitario on line per corrispondenza...
Forse meglio Cav. dell’Ordine di Santa Pazienza protettrice delle oncocampagne… noooo, alla fine non se ne farebbe nulla. Allora forse Papàpero Martire protettore di tutti i mariti che sopportano megere di mogli, madri e suocere. Noooooo, nooo e ancora noooo, allora... San Papàpapero protettore di tutti gli educatori? Ma no, è già stato scomunicato per aver traviato Mamma Pinguibox.
No, tutto dovrebbe essere più semplice, basterebbe ci fosse scritto: Papà (o anche Papi, Papiiinoooo, come quando Bellacana, con fare e allegramente zuccheroso, lo chiama, e allora non ci sono Dottori, Conti, Visconti, Cavalieri , Cavalli o Somari).
Papà è un suono che rimbomba nell’intimo ed esplode nel cuore facendolo sentire VIVO.
A volte Papàpapero nemmeno ci crede, e si ritrova a riguardare le foto del suo quasi settenne e della sua Papera e a dirsi che, cavolo, è tutto vero!
Ci sono cose che lo fanno intenerire, come fare le lavatrici e buttare nel cestello la biancheria, i suoi calzini bucati, le mutandone ascellari di Mammapapera, e poi... calzino a forma di rana ,calzino con fiorellini, slippino delle ninja turtles... e improvvisamente si sente grande, grande inteso come adulto, ma grande anche perché è una gran cosa, e tutto si chiarisce e riemerge dalla solita corsa quotidiana. È buffo, basta una canottierina taglia nano per riscoprire la magia dell’essere genitori.
Essere Padre è sentirsi parte di un incantesimo ancestrale, lo stupore di veder crescere qualcuno da zero, da prima della sua comparsa sulla terra... è smadonnare in aramaico perché le scarpette da 60 euro comprate due settimane fa non si infilano più, mannaggia!!!
E’ scoprire improvvisamente che un gesto come avere il pargolo a cavallo sulle spalle può portare automaticamente a un ricovero diretto in chirurgia per pluriernie e contemporaneamente a traumatologia cranica pediatrica perché… cacchio, fino a ieri ci passavamo sotto al tendone del bar!!!
Essere padre è riscoprirsi bambini, basta una palla, una spada di legno per essere ancora capaci di trasformare il letto in un vascello pirata, e salvare il pelouche rapito dal drago cattivo, sgominare la banda di omini playmobil ladri di tesori, e poi... poi accanirsi e voler continuare a giocare finchè “Papi siamo stanchi, possiamo guardare un cartone???”
Essere padre è abbracciarli, stritolarli ,annusarli questi bambini (evitando accuratamente i piedoni naturalmente) e lasciarsi inebriare dalla loro innocenza, farsi inondare dalla loro energia, e da quel profumo, quell’odorino di latte, zucchero, polvere e sogni.
A volte Papàpapero si lascia trasportare dal domani, si chiede, braccando i suoi pargoloni, chi sto abbracciando? Un futuro ing. o dott., o forse un mur. o una drag. un galeott? Chi lo sa, e li stritola più forte.
Ma poi, chisennefrega di che professione faranno, che orientamento sessuale avranno, i papergenitori sognano due adulti del futuro che, come due scarabei stercorari, sappiano apprezzare fino in fondo quella palletta di vita, e che siano in grado di farla rotolare fino a renderla meravigliosa, o semplicemente rendere meraviglioso viverla.
E così Papàpero si ritrova a stritolarli come per difenderli da un futuro enigmatico e insondabile, con quei grandi punti interrogativi che a volte si infilzano nella pelle e diventano timori, tumori: la Papera starà bene? Per quanto? Per Come? E Bellacana, con la sua dolcezza e sensibilità, quanto sarà segnato dalle oncobattaglie vissute? Insomma, i soliti cazziemazzi tipici di un oncogenitore ansioso che in quegli stritolamenti degni di Kaa si rifugia come per voler bloccare il momento, l’adesso in cui tutto va bene, perché come dice il saggio Somariano, l’educatore incontrato a Malga Riondera, i genitori devono essere porti sicuri ma a volte i figli sono insenature naturali dove rifugiarsi dalla tempesta, dove nascondersi e ritrovarsi .
E Papàpero crede fermamente al fatto che i bambini ci guardano, che ci prendono a medello, e allora ci prova ad essere un buon modello, di certo non vuole essere un supereroe... bè, diciamo almeno non un supereroe convenzionale, lui potrebbe essere... SuperPippo! Con il pigiamino a toppe e un lenzuolo come mantello, un supereroe imperfetto e raggiungibilissimo, essere perfetti e pedagogicamente impeccabili da queste parti non interessa, è un’ illusione, come un illusione è voler preservare a tutti i costi i bambini dalle frustrazioni . Papàpero mette in castigo, e la sua vena sadica a volte si esibisce in virtuosismi punizieschi . A volte è esigente, altre lascia correre, sa essere severo ma anche complice, a seconda delle situazioni. Sono le forme dell’amore.
Certo questa imperfezione genitoriale creerà ferite, blocchi, disturbi, psicosi (ussignur!!!) ma d’altro canto bisogna pur dar da lavorare a psicologi, psicoterapeuti, maestri Zen, sciamani...
Essere padre per Papàpero è immaginarsi in un futuro lontano, quando Bellacana e l’Oncopaperella saranno Mister Beautiful Dog e Miss Warrior Duck, ancora lì, presente, al loro fianco (se vorranno), Parados… siempre (come da scoutiana memoria), per non cadere nell’inganno della vecchiaia che passa il testimone ai giovani licenziado i vecchi dal ruolo di genitori.
E se la vita dovesse riservare a Papàpero altri destini … il papà ci sarà sempre lostesso perché, al di là della genetica, è il tempo speso, le parole dette, l’attenzione, i baci dati, le corse, l’amore sempre e comunque. È cosi che l’amore si imprime nei figli nel profondo, diventa la loro essenza, carne e sangue, sempre lì, dentro di loro. Un’eredità, il nostro testamento.

E il pensiero allora va a quei papà che sono andati via troppo presto, che non hanno avuto la possibilità di vederli crescere questi figli, di guardarli negli occhi mentre tagliano i traguardi della vita, che non posso più stingerli forte e annusarli. Che non possono più dire “Quella/o è mia figlia/o” e versare per loro lacrime di gioia.
Il pensiero va al loro immenso dolore.
Poi subito penso a chi il papà non ce l’ha più, chi l’ha perso troppo in fretta, in maniera improvvisa, chi dovrà fare i conti con quel buco nel cuore.
L’augurio è che un giorno,guardandosi allo specchio, possa riscoprire atteggiamenti, espressioni, modi di dire del suo papà, e che quel buco possa farsi meno profondo.
E sarà dovere e responsabilità di chi resta aiutare a fare rivivere l’invisibile.




Dedicato a te, che con la tua risata e le tue battute riempivi uno spazio vitale per un paese intero, a te, che stai consigliando il vin santo migliore a San Pietro mentre riempi le buste della spesa agli angeli.